ROMAGNA

COMUNICATI STAMPA ROMAGNA

Variante alla SS16 a Rimini nord, le organizzazioni agricole chiedono di vedere il progetto e condividere il percorso di realizzazione

Intervento congiunto di Cia Romagna, Confagricoltura e Coldiretti

Ringraziamo il presidente della Provincia di Rimini, Riziero Santi, per l’incontro organizzato con le nostre associazioni di categoria agricola (Cia, Confagricoltura e Coldiretti) e con i rappresentanti dei Comuni interessati dalla variante alla SS16.

Il tracciato della variante presentato più di dieci anni fa riguardava un centinaio di aziende agricole, e già questo renderebbe il tema di primario interesse. Ma quello della nuova Statale 16 è un argomento rilevante per tutto il territorio, per la sua tutela e per la sua economia, perché impatta sull’unica zona del comune di Rimini definita ad alta vocazione agricola dallo stesso Piano territoriale di coordinamento provinciale.

Nelle scorse settimane i nostri agricoltori hanno ricevuto la comunicazione dell’inizio dei sondaggi e dei picchettamenti da parte della ditta incaricata, ma né loro, né le nostre associazioni hanno avuto la possibilità di visionare il progetto e i tracciati definitivi.

Le aziende agricole, già provate dalla crisi in questo difficile momento, si sentono ulteriormente vessate e vedono il loro territorio ancora una volta invaso da interventi che lo aggrediscono, come già successo in passato con gli elettrodotti e oggi anche con il metanodotto, i cui lavori bloccheranno parte dei terreni praticamente per due anni.

Sia chiaro, le nostre associazioni sono perfettamente consapevoli della necessità delle infrastrutture per lo sviluppo e l’economia della nostra provincia. Ma è altrettanto necessario sostenere tutte le imprese e non penalizzare le aziende e i cittadini che vivono e lavorano in agricoltura. A Rimini nord il  rischio concreto è che molte aziende agricole siano costrette a chiudere per sempre.

Sul progetto della variante alla Statale 16, competenza di Anas, non c’è stata sufficiente informazione né condivisione. Come rappresentanze agricole avanzammo a suo tempo numerosi rilievi al progetto in merito all’impatto devastante e all’enorme consumo di suolo che l’opera avrebbe comportato. Chiedemmo modifiche al tracciato per un impatto decisamente minore sul territorio agricolo, alle quali però non abbiamo avuto nessun riscontro.

Il nostro impegno è tutelare i nostri soci e accompagnarli in questo confronto. Per questo attendiamo l’incontro che la Provincia di Rimini si è impegnata ad organizzare con Anas, con la Regione Emilia-Romagna e i progettisti. Ci aspettiamo di avere il necessario aggiornamento sul progetto del nuovo tracciato, presupposto indispensabile per poter discutere e condividere il percorso di realizzazione e i relativi accordi con le aziende agricole.

Cia e Università Telematica Pegaso: Academy online per la formazione dei nuovi protagonisti dell’agricoltura 4.0

Pagliarani, coordinatore dei Giovani Agricoltori di Cia Romagna: “Sempre più importante la figura dell’imprenditore agricolo come produttore e come formatore”

Una Academy online dedicata alla formazione di nuove figure professionali nel settore agroalimentare. È questo l’obiettivo dell’accordo siglato tra l’Università Telematica Pegaso e Cia-Agricoltori Italiani. La partnership prevede la pianificazione di attività di alta formazione e di aggiornamento specialistico, finalizzate alla creazione di figure professionali ad hoc, tali da agevolare l’accesso diretto al mondo del lavoro agricolo.

Matteo Pagliarani, coordinatore dell’Associazione Giovani Agricoltori Italiani della Cia della Romagna (Agia-Cia), afferma: “Come Agia nazionale e territoriali abbiamo sempre avuto fra i principali obiettivi l’informazione e la formazione di tutte le figure: cittadini, consumatori, agricoltori. Questo accordo dimostra come sempre più l’Organizzazione stia ricercando formazione professionale. Questa nuova collaborazione con l’Università Telematica Pegaso fa capire quanto Cia cerchi di stare al passo del cambiamento e quanto in futuro possa essere centrale la figura dell’imprenditore agricolo come produttore e come formatore, in tutti i settori della produzione. In questo accordo, un membro cruciale è sicuramente l’ente di formazione interno di Cia, l’Associazione Agricoltura è vita”.

Attraverso la regia di un Comitato tecnico scientifico che individuerà i nuovi fabbisogni formativi e organizzativi degli imprenditori agricoli, l’Academy fornirà percorsi didattici aventi valore legale, spendibili in termini di riconoscimento di Crediti Formatici Universitari (CFU) e come aggiornamento professionale.

Anche grazie a questo accordo Cia vuole incrementare l’avvicinamento dei giovani all’impresa rurale, promuovendo la tutela del lavoro agricolo quale elemento primario per il sostentamento ed il benessere generale, nonché elemento idoneo a migliorare la competitività sui mercati delle aziende agricole, attraverso la riqualificazione, la formazione e il coinvolgimento partecipato degli operatori del settore.

Saranno attivati stage e tirocini attraverso convenzioni con aziende, istituzioni, enti pubblici e privati operanti nel settore primario, finalizzati all’inserimento nel mondo del lavoro, nonché all’acquisizione di esperienze pratiche certificate per arricchire il proprio curriculum personale. “Il renderci disponibili ad ospitare nelle nostre aziende queste figure è centrale come obiettivo – sostiene Pagliarani – Rappresenta un’ulteriore qualificazione del percorso formativo e al tempo stesso è una grande opportunità per chi ospita perché le cose belle nascono quando si unisce la ricerca con la parte pratica e possono emergere belle scoperte e collaborazioni. Spero che questi giovani possano diventare portavoce dell’Associazione e del mondo imprenditoriale sia maschile sia femminile. Per noi piccole e medie imprese è importante poter collaborare a questi percorsi formativi”.

QUALCHE DATO SULLE IMPRESE AGRICOLE GIOVANILI IN ROMAGNA

Nel 2020, in termini di variazione annua rispetto al 31.12.2019, si registra una diminuzione delle imprese giovanili attive nella maggior parte dei principali settori. In crescita, invece, l’Agricoltura. Al 31.12.2020 le imprese agricole giovanili in Romagna, nelle province di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini erano complessivamente in valore assoluto 578: 225 nel forlivese-cesenate (+0,4%), 113 nel riminese (+5,6%) e 240 nel territorio provinciale ravennate (+1,8%).

Per imprese giovanili si intende: l’insieme delle imprese in cui la partecipazione di persone ‘under 35’ risulta complessivamente superiore al 50% mediando le composizioni di quote di partecipazione e cariche attribuite. Fonte: Camera di Commercio della Romagna e Camera di Commercio di Ravenna.

Sementiero e biologico – Servono nuovi accordi interprofessionali e un nuovo piano di ricerca per le sementi biologiche

Lo sviluppo interessante del settore biologico italiano, in una fase cruciale della transizione green Ue, rinnova il dibattito sul futuro del comparto sementiero, voce molto importante per l’economia agricola, e non solo, della regione e particolarmente per i distretti produttivi della Romagna. Secondo Anabiol’associazione per la promozione del biologico di Cia-Agricoltori Italiani – il comparto può stare al passo, da una parte, grazie a nuovi accordi interprofessionali con le ditte, dall’altra, potendo contare su un nuovo Piano di Ricerca per le Sementi Biologiche. Anabio fa appello al mondo delle imprese e al Mipaaf, perché acceleri sull’iter amministrativo di definizione del Piano.

Lorenzo Falcioni, vicepresidente di Cia – Agricoltori Romagna e membro del CdA della Cooperativa Cac, nella sua azienda “Falcioni Santi Agricoltori” coltiva circa 19 ettari di colture da seme fra cavoli ibridi, cavoli cinesi, cicoria ibrida, bietola, ravanello, aneto, rapa, rucola selvatica, coriandolo ed erba medica da seme. In merito all’argomento in oggetto sottolinea che il lavoro sin qui svolto è molto positivo e precisa: “Non dimentichiamo che una programmazione lungimirante, adottata nel passato, ha portato i moltiplicatori dell’Emilia-Romagna ad essere un punto di riferimento internazionale. Come Cia Romagna auspichiamo che si realizzino gli accordi interprofessionali e che sia adottata un’adeguata campagna di comunicazione per informare sulle colture che usciranno dalle deroghe, deroghe alle quali si ricorrerà sempre meno”.

La programmazione sarà l’arma vincente per riuscire a colmare la domanda di seme biologico certificato e per metterne in produzione le quantità occorrenti. “In questo modo le aziende sementiere e gli imprenditori in agricoltura biologica potrebbero trarre benefici da un’economia di scala con un costo del seme bio più competitivo oltre alla possibilità, per gli agricoltori stessi, di iniziare a svolgere l’attività di moltiplicazione. In Romagna siamo bravi con le sementiere e siamo bravi a fare il bio – conclude Falcioni – Può essere una risposta, un’opportunità, a un mondo che non se la sta passando molto bene, con le gelate e altre calamità, e bisogna avere presente anche la redditività dell’impresa agricola”.

Negli ultimi dieci anni, sottolinea Anabio-Cia, si è registrata una significativa crescita della superficie investita a produzione bio e nel 2020 l’area destinata ai semi bio, in Italia, è aumentata del 28% rispetto al 2019. Ciò va colto come una sfida per rispondere a una domanda ancora latente di sementi bio diversificate, adattate alle condizioni di produzione biologica e locale. Attivare questo processo vuol dire, inoltre, guardare alla scadenza del 2036, quando non sarà più possibile far ricorso alle deroghe imposte dalla normativa Ue. Oggi, già 2 specie non sono più in deroga (Erba Medica e Trifoglio Alessandrino) e a queste se ne potrebbero aggiungere altre 15 nel corso del 2022. In tale contesto, torna il focus sulla Banca Dati Sementi, che al momento contiene 878 specie e varietà, e deve diventare sempre più lo strumento di gestione per la moltiplicazione vegetativa con metodo biologico e sempre meno il mezzo per le deroghe.

Sul fronte agricolo, Anabio-Cia è fortemente impegnata a mobilitare i produttori del comparto a favore delle sementi biologiche, sollecitata da norme comunitarie e nazionali più stringenti del passato, ma anche da anni di ricerca partecipata su cui è tempo di puntare e che vede come promotrice in primis la Rete dei Semi Rurali.

Per Anabio-Cia bisogna, dunque, lavorare con le ditte sementiere italiane per nuovi accordi interprofessionali con contratti che contengono la combinazione tra specie/varietà nelle diverse regioni e prevedano informazione e formazione tecnica ed economica efficace. Al Mipaaf, invece, Anabio-Cia sollecita la richiesta di finanziamenti per un nuovo Piano Nazionale delle Sementi Biologiche, annunciato da un anno, ma ancora alle prese con l’iter amministrativo.

QUALCHE NUMERO SUL COMPARTO DELLA MOLTIPLICAZIONE DELLE SEMENTI

– Coinvolti 15.000 agricoltori per le specie agrarie e 4.000 per le specie ortive a livello nazionale;

– La superficie di produzione delle sementi ufficialmente certificate nel 2019 si attesta a 202 mila ettari;

– Circa ¼ della superficie è localizzata in Emilia-Romagna, che è la prima Regione italiana in termini di aree dedicate alla produzione di sementi di specie certificate sia per le specie agrarie sia per le specie orticole e aromatiche (nel 2020 circa 50mila ettari di cui circa 11mila con colture con alta Plv come bietola e orticole comprese le aromatiche);

– In Romagna le superfici coinvolte nella riproduzione di sementi rappresentano circa il 50% della superficie totale regionale dedicata alle sementiere. In particolare nel territorio ravennate si concentra la maggior parte della riproduzione di sementi di medica, di barbabietola da zucchero, di molte specie orticole e cereali da seme.  A Cesena opera la Cooperativa Cac, il cui stabilimento è il primo in Europa per volumi e tecnologie nella lavorazione del seme.

Zootecnia, da tempo investe per la sostenibilità degli allevamenti

Sul settore visioni allarmistiche e messaggi fuorvianti. Dagli allevamenti solo il 5,2% di emissioni

La zootecnia è ancora sotto attacco. Nonostante sia un settore strategico per l’economia e sebbene abbia compiuto enormi passi avanti sulla strada della sostenibilità, arrivando a pesare il 5,2% sul totale delle emissioni di CO2 che si riversano sull’ambiente, deve ancora difendersi da visioni allarmistiche e messaggi fuorvianti non suffragati dai dati, che incidono negativamente sulla filiera e sui consumatori.

Gli allevatori, invece, sono pronti a cogliere la sfida del Green Deal europeo: chiedono solo strumenti e risorse adeguate per affrontare la transizione verde puntando su innovazione, ricerca e nuove tecnologie, con l’obiettivo di impattare sempre meno sul clima, ma tutelando al contempo competitività, reddito e qualità. Questo il messaggio chiave lanciato da Cia-Agricoltori Italiani nel corso del seminario online “Allevamenti bovini e transizione ecologica”.

“L’obiettivo è quello di continuare a migliorare la qualità e la sostenibilità degli allevamenti grazie alle nuove tecnologie, ma con una visione dell’agricoltura che tutela l’ambiente senza penalizzare la produzione”, afferma Danilo Misirocchi, presidente di Cia – Agricoltori Italiani Romagna. Per Cia è necessario identificare gli strumenti finanziari adeguati per sostenere economicamente gli allevatori che avranno bisogno di nuovi investimenti, sia strutturali che tecnologici, ad esempio per una migliore gestione e valorizzazione dei reflui zootecnici, così come per la produzione di energie rinnovabili. Potrebbe risultare molto efficace, secondo Cia, l’adozione di incentivi e premialità agli allevatori per il sostegno agli investimenti nel settore, nell’ambito dei piani dello sviluppo rurale e della nuova Pac.

Dall’Annata Agraria 2020 di Cia Romagna emerge che la Romagna concentra la maggior parte degli allevamenti avicoli dell’Emilia-Romagna, che è terza a livello nazionale, e si distingue in particolare per le galline ovaiole. L’avicoltura romagnola è tra le più avanzate a livello tecnologico con allevamenti sempre più all’avanguardia che utilizzano ad esempio centraline che governano temperatura, umidità e percentuale di ammoniaca all’interno delle strutture, per garantire che questi ed altri parametri siano sempre ottimali per l’animale, con un sempre minor utilizzo di risorse e una maggiore qualità del prodotto finale. Si ha una sostanziale stabilità del numero di allevamenti avicoli e bovini in Romagna. Nel corso degli anni nella nostra regione sono incrementate le imprese agricole biologiche dedite anche all’allevamento di almeno una specie animale con il metodo biologico (1 su 6). Attualmente l’allevamento biologico più importante è quello del bovino da carne, soprattutto nella provincia di Forlì-Cesena. I capi ovicaprini allevati sono molto diminuiti in tutte nelle tre province di Ravenna, Forlì-Cesena, Rimini) rispetto al 2019 (-22,3%). Per quanto riguarda i suini si è registrato un aumento dei capi allevati nella provincia di Rimini.

Si tratta di un comparto fondamentale, che lavora da anni sulla riduzione del suo impatto ambientale. Dal 1970 a oggi la quantità di metano immessa nell’atmosfera e derivante dagli allevamenti è scesa del 40%. Tanti sono gli elementi che hanno concorso negli anni a rendere la zootecnia sempre più sostenibile: dalla gestione degli allevamenti basata sul benessere animale alla riduzione dell’uso di antibiotici; dai programmi di selezione genetica, con le nuove possibilità offerte dalla genomica, all’alimentazione su misura e “di precisione”. Sempre per limitare l’impatto ambientale, la zootecnia sta adottando il modello di economia circolare: dal campo al foraggio, dal foraggio all’alimentazione, dalle deiezioni animali ancora al campo, oppure alla produzione di energia tramite impianti di biogas.

I NUMERI DELLA ZOOTECNIA IN ITALIA

Le produzioni animali, con un fatturato di 40 miliardi di euro e 270 mila imprese coinvolte a livello nazionale tra produzione e trasformazione, rappresentano quasi la metà del valore dell’agroalimentare italiano.  Il solo settore della carne (bovina, suina e avicola) genera un giro d’affari di circa 30 miliardi di euro (10 miliardi alla produzione e 20 nell’industria di trasformazione), che arriva a 40 miliardi includendo latte e uova. In particolare, la carne bovina costituisce in valore il 44% e in volume il 33% dell’intero comparto. Oggi ci sono circa 140 mila aziende italiane specializzate nell’allevamento bovino, che danno occupazione a più di 150 mila persone e presidiano il 40% del territorio rurale, contrastando lo spopolamento e il degrado delle aree interne e custodendo tradizioni culturali e gastronomiche conosciute in tutto il mondo.

Attualmente, secondo la FAO, il comparto zootecnico a livello mondiale pesa per circa il 14% sul totale delle emissioni di CO2 equivalenti. Dati che si abbassano ancora se si considera solo l’Europa, dove l’incidenza degli allevamenti sulle emissioni complessive si colloca tra il 7% e il 10%. Ancora meglio fa l’Italia, dove le emissioni di CO2 della zootecnia rappresentano il 5,2% del totale, di cui meno del 4% imputabile alle filiere delle carni.

Riaperture graduali e in sicurezza per garantire un’estate di ripresa

Per il settore agricolo far ripartire ristoranti, bar e agriturismi, così come tutte le attività commerciali, è cruciale per la sussistenza

In attesa di indicazioni ufficiali, è evidente che per il settore agricolo e agroalimentare far ripartire ristoranti, bar e agriturismi, così come tutte le attività commerciali, sia ormai cruciale alla sussistenza. Il cronoprogramma per la riapertura garantisca gradualità e, soprattutto sicurezza, perché ai cittadini e ai settori produttivi va assicurata una ripresa effettiva e senza il perdurare dei continui shock che stanno duramente colpendo economia e società. Così Cia-Agricoltori italiani Romagna sulle varie ipotesi per un allentamento progressivo delle restrizioni sui cui il Governo dovrà pronunciarsi nelle prossime settimane.

Per Cia Romagna resta fondamentale che siano il dato sanitario e l’intensificarsi delle vaccinazioni a dettare la tabella di marcia. L’avvicinarsi dell’estate non deve indurre a riaperture affrettate e scellerate, ma far ragionevolmente pianificare e programmare nuove misure che, se confermate le zone arancioni, agevolino l’attività di ristoranti e agriturismi, bar e hotel, privilegiando con l’arrivo del caldo gli spazi all’aperto, favorendo il ricorso alle prenotazioni con le riaperture anche nelle ore serali, il distanziamento e ancora l’uso della mascherina.

Le aziende agricole, ricorda Cia, stanno facendo da mesi del loro meglio, ora anche sostenendo gli effetti del maltempo, per non mettere a repentaglio l’approvvigionamento alimentare, ma né le consegne a domicilio né l’e-commerce che si stanno rivelando strategici da mesi, possono in alcun modo compensare la chiusura del canale dell’Horeca e, quindi, il blocco dei consumi fuori casa che rappresentano un terzo del totale con perdite superiori stimate oltre 40 miliardi di euro.

Il comparto agrituristico conta danni pari a 1,2 miliardi da inizio pandemia a oggi e, quindi, i prossimi mesi, saranno determinanti a decidere le sorti delle strutture ricettive in campagna394 agriturismi in Romagna, di cui 184 in provincia di Forlì-Cesena, 139 in provincia di Ravenna e 71 in provincia di Rimini, con
un’importante componente femminile. La prossima stagione estiva deve rappresentare il punto di ripresa su cui investire con un piano organico che tuteli la salute del Paese nel breve, nel medio e nel lungo periodo.

Ortofrutta: agricoltori senza giusto reddito

Su 100 euro spesi dal consumatore solo 6 in tasca al produttore. Per riequilibrare la catena del valore, maggiore aggregazione e relazioni innovative “di sistema”, anche con la distribuzione

L’ortofrutta italiana rappresenta il 25,5% della produzione agricola nazionale per un valore di 15 miliardi, interessa una superficie di 1,2 milioni di ettari, coinvolge circa 300 mila aziende e, soprattutto, sta reggendo all’urto della pandemia, nonostante le difficoltà gestionali, con picchi di vendite del +13% registrati durante il lockdown e acquisti sostanzialmente stabili lungo tutto il 2020. Eppure, per gli agricoltori c’è ancora un enorme problema irrisolto nella catena del valore: in Italia, infatti, si stima che, per frutta e ortaggi freschi, su 100 euro spesi dal consumatore, al produttore rimangano in tasca solo tra i 6 e gli 8 euro netti. Ancora meno nel caso dei prodotti trasformati, dove il margine in campo all’imprenditore agricolo è inferiore ai 2 euro. Una questione annosa che va necessariamente affrontata, senza ulteriori indugi, per dare vita a un nuovo “patto di sistema dell’ortofrutta italiana” più equo, moderno, efficiente, e rispondere così alle prossime sfide economiche e ambientali legate al Green Deal europeo che richiedono sempre maggiori standard di sostenibilità.

Questo il messaggio lanciato da Cia-Agricoltori Italiani nel webinar “Il valore nell’ortofrutta, dalla filiera al sistema”, il primo di due appuntamenti dedicati al settore per supportare l’Anno Internazionale della Frutta e della Verdura 2021 promosso dalla FAO. Partenza significativa dalla Romagna, da Cesena, per il ruolo e il valore che l’ortofrutta dell’Emilia-Romagna riveste per il tessuto economico regionale e nazionale e come territorio che esprime esperienze virtuose di appartenenza alla filiera. In specifico riferimento a queste sono intervenute per l’occasione Apofruit, Canova ed Orogel Fresco, oltre agli altri ospiti quali Ismea, Federdistribuzione e Ortofrutta Italia.

“Il settore ortofrutticolo è esposto a rischi enormi, legati agli eventi climatici, come ad esempio le terribili gelate di questi giorni, ma anche alle problematiche fitosanitarie e alla pressione competitiva globaleafferma il presidente di Cia Emilia-Romagna, Cristiano FiniLa ripartizione sbilanciata dei prezzi lungo la filiera rischia di indebolire in maniera irreversibile le aziende agricole, molte delle quali in grande sofferenza”.

La deperibilità, i costi esterni come energia, packaging e trasporti, la complessità delle relazioni tra gli attori, la frammentazione della filiera e la difficoltà ad attuare strategie condivise di sistema, sono tutti fattori che condizionano negativamente l’acquisizione del giusto reddito per i produttori ortofrutticoli. “È tempo di riequilibrare la ripartizione del valoresostiene Finiricordandosi anche degli agricoltori. È necessario sperimentare nuove soluzioni e garantire solidità a tutte le componenti, stimolare processi di aggregazione tra i produttori e costruire relazioni più equilibrate e innovative tra tutti i soggetti del sistema ortofrutticolo, compresa la distribuzione”.

Si tratta di passaggi ben specificati nel corso del webinar dal presidente del GIE Ortofrutta di Cia, Antonio Dosi: “Le strategie attraverso cui la produzione agricola può recuperare o riuscire a trattenere una quota maggiore di valore aggiunto passano per aggregazione, azioni di promozione unitarie, sviluppo dell’economia contrattuale, contrasto alle pratiche commerciali sleali, operatività piena dell’interprofessione”. Inoltre, ha aggiunto Dosi, “è necessario incoraggiare un patto fra gli attori della catena ortofrutticola e collaborare per eliminare inefficienze, aumentare la competitività del settore, ridurre gli squilibri”.

Rafforzare la posizione degli agricoltori e accrescere la competitività del comparto è una sfida importante anche per cogliere la crescente domanda di ortofrutta in tutte le sue molteplici declinazioni, compresa quella di nuovi servizi e informazioni. Il Covid, infatti, ha amplificato l’interesse verso una sana alimentazione, con il 57% degli italiani che consuma frutta e verdura perché “fa bene” alla salute, e il suo consumo è universalmente riconosciuto come parte essenziale di una dieta equilibrata. Con 25 milioni di persone nel Paese obese o in sovrappeso, di cui il 25% bambini e adolescenti, è sempre più importante inserire frutta e verdura nel carrello della spesa, con un occhio sempre più attento alle caratteristiche del processo produttivo per il 55% delle famiglie (origine italiana, tracciabilità, prodotto locale e/o biologico) e alla stagionalità per il 43%.

Un obiettivo in linea con la FAO che, con l’Anno Internazionale della Frutta e della Verdura 2021, vuole da un lato stimolare il consumo di frutta e verdura e, dall’altro, evidenziare come “le catene di valore sostenibili e inclusive possono contribuire ad aumentare la produzione, a migliorare la disponibilità, la salubrità, l’accessibilità economica e la parità di accesso alla frutta e alla verdura, al fine di promuovere la sostenibilità economica, sociale e ambientale”.

Freddo e gelate notturne, agricoltori ancora in ginocchio


La prima ricognizione indica danni ingenti e si teme per le prossime notti

Il brusco crollo delle temperature e le gelate notturne mettono ancora una volta in ginocchio gli agricoltori romagnoli. Una prima ricognizione dei danni causati dal maltempo di questo inizio aprile è stata svolta questa mattina da Cia Romagna fra i propri associati.

“E’ chiaro che ancora è presto per stimare il valore dei danni con precisione  – spiega il presidente Danilo Misirocchi -. Sappiamo già però che sono ingenti, soprattutto in alcuni territori. Le temperature insolitamente basse per il periodo, le coltivazioni bagnate dalla pioggia e una notte umida hanno purtroppo aumentato gli effetti negativi della gelata nella notte scorsa.

E’ stato colpito in maniera più dura il territorio ravennate. Nel forlivese-cesenate ci sono stati danni fino alle zone collinari e in aree tradizionalmente meno esposte, anche se la copertura nuvolosa ha in parte contenuto la gelata. Nel riminese, dove la neve è scesa anche a quote basse, al momento sono registrati danni minori. 

Le colture vittime del gelo sono soprattutto gli alberi da frutto, peschi, albicocchi, ciliegi, susini, in parte meli e peri, kiwi e in alcuni casi sono stati segnalati danni alle viti. Temiamo ora per le prossime notti, visto che le previsioni indicano condizioni che potrebbero portare nuove gelate”.

No alla riduzione delle rese sui vini generici

“Lo schema di decreto che taglia le rese del vino generico è un controsenso: mette “per legge” i produttori fuori mercatosottolinea Danilo Misirocchi, presidente di Cia – Agricoltori Italiani RomagnaProduttori che in questi anni hanno investito molto per rispettare le scelte politiche regionali in materia e arrivare ad un equilibrio fra costi e ricavi. Sin dall’inizio la Regione Emilia-Romagna non ha condiviso la scelta parlamentare di introdurre la limitazione produttiva e Cia concorda con l’assessore Mammi. Se passano le riduzioni non è più conveniente produrre quest’uva. Non è certo così che si favorisce la ripresa della filiera agroalimentare. Il mercato del vino generico non è in concorrenza con quello Dop e Igp. I consumatori sono diversi e la richiesta per il vino generico c’è: viene venduto tutto. Con la riduzione delle rese si finirà per importare prodotto dall’estero a scapito delle nostre aziende”.

Il commento del Presidente di Cia Romagna, Danilo Misirocchi, ribadisce la posizione di Cia nazionale, fortemente contraria alla bozza di decreto del Ministero uscita lo scorso 26 febbraio sulla riduzione delle rese sui vini generici.

Cia – Agricoltori Italiani mette in evidenza che la riduzione delle rese dei vini generici deve essere stabilita dalle regioni in Conferenza Stato-Regioni, perché impatta in maniera diversa sui territori. La bozza uscita ad inizio febbraio teneva conto di questo principio e andava bene, poi, il 26 febbraio scorso è uscita una nuova bozza, totalmente stravolta, che penalizza la produzione di vini generici. La bozza stabilisce la riduzione da 500 a 300 quintali per ettaro, con possibilità di prevedere una deroga da parte del Ministero per le politiche agricole per riconoscere una resa massima di 400 quintali per ettaro limitatamente ai territori particolarmente vocati a questa tipologia di produzione.

“Nella nostra regione e in Romagna di passi avanti sull’uva per la produzione di vini generici se ne sono fatti tantispiega MisirocchiIn particolare dagli inizi degli anni Duemila ad oggi, abbiamo investito in maniera consistente sugli impianti e sulla filiera per avere un prodotto di qualità che guarda ai consumatori e al mercato. È incomprensibile questa marcia indietro, perché rischia di danneggiare fortemente i produttori locali in un mercato che, anche per effetto della pandemia, sta generando buone performance su vini di largo consumo, senza intaccare minimamente i vini Dop e Igp”.

Concludendo, il presidente di Cia Romagna, Danilo Misirocchi, ribadisce: “I criteri del nuovo decreto devono tenere in considerazione le specificità produttive e commerciali dei vini generici tra i vari territori e, insieme alla Regione Emilia-Romagna, faremo valere questo principio”.

Donne in Campo – attenzione alle aree rurali, alla multifunzionalità, accesso al credito e alla terra

In Romagna, comprendendo le province di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini, anche le aziende agricole femminili soffrono la crisi causata dalla pandemia. Al 31.12.2020 le imprese femminili attive (agricole e non agricole) erano 22.153 e hanno segnato una contrazione media di circa lo 0,6% rispetto allo stesso periodo del 2019. Le imprese agricole femminili attive erano 2.860 e hanno registrato, rispetto allo stesso periodo del 2019, un calo medio di circa il 2,3%.

Le difficoltà legate all’emergenza sanitaria hanno colpito in maniera trasversale tutti i settori e i comparti, ma fra questi ce ne sono alcuni che sono in maggiore sofferenza. “Nel settore agricolo gli agriturismi e le fattorie didattiche sono sicuramente i comparti che stanno attraversando una crisi senza precedenti, insieme alle aziende agricole i cui prodotti servono l’HO.RE.CA. e la ristorazione in generale”. Queste le parole di Stefania Malvolti, coordinatrice Donne in Campo – Cia Romagna. È stata penalizzata anche la vendita diretta in parte a inizio emergenza sanitaria, con la confusione e i divieti che hanno colpito anche i mercati all’aperto, prima vietati poi, anche per l’azione di Cia Romagna, pian piano organizzati e riaperti rispettando le giuste regole per il contenimento della diffusione del virus. “Ci siamo organizzati anche per la vendita online e la consegna a domiciliospiega la Malavoltima questa, almeno per l’esperienza delle nostre zone, ha comportato molto impegno, si viaggia un’intera giornata e si realizza un terzo rispetto alla vendita diretta sul posto. In ogni caso il valore della consegna a domicilio (come di altri multiservizi), soprattutto per le aree interne della collina e della montagna, va oltre il soddisfacimento di un’esigenza di base come il mangiare. In particolare in questo periodo, che sta diventando lungo, fatto di assenze e distanze rappresenta un nutrimento sociale, nel rigoroso rispetto di tutte le norme anti Covid-19, specialmente per le persone che sono sole a prescindere dall’emergenza: è un modo per dire noi ci siamo”.

Come Donne in Campo si chiede al nuovo Governo e al nuovo ministro per le politiche agricole Stefano Patuanelli che l’impegno multifunzionale delle imprese agricole sia premiato e incentivato con risorse ad hoc, perché fornisce ai cittadini e alle comunità un servizio fondamentale. Pensiamo alle fattorie sociali e didattiche, agli agri-asili, agli agriturismi, che offrono conoscenza, inclusione e integrazione, turismo e benessere. Serve rafforzare gli strumenti di accesso al credito e favorire l’accesso alla terra da parte delle donne a tutte le età. Servono investimenti per il miglioramento e lo sviluppo dei servizi sociali e digitali nelle aree rurali; presidi territoriali sociosanitari per una rete di assistenza diffusa, asili, scuole, banda larga diffusa. Elementi che favoriscono la crescita dell’imprenditoria femminile, aiutando le donne nel lavoro di cura e sostegno alla famiglia, per poter strutturare le proprie aziende e creare valore aggiunto per il territorio. Attenzione all’ambiente, alla biodiversità, cura e manutenzione del paesaggio, del benessere animale, è l’impegno che agricoltori e allevatori mettono nel loro lavoro ogni giorno, donne e uomini, consapevoli dei nuovi obiettivi green dell’Unione Europea, consapevoli che in questa regione tanto si è fatto e si sta facendo. Tutto questo volto a rafforzare il sistema produttivo italiano, produrre materiali sostenibili, creare nuova occupazione femminile e giovanile.

Nella tabella seguente una sintesi dei dati sulle imprese agricole femminili attive in Romagna al 31.12.2020 e un confronto con la variazione rispetto alla fine del 2019 (Fonte: Unioncamere, Camera di Commercio di Ravenna, Camera di Commercio della Romagna, rielaborazione Cia Romagna).

In Romagna, comprendendo le province di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini, al 31.12.2020 le imprese femminili attive erano 22.153 e hanno segnato una contrazione media di circa lo 0,6% rispetto allo stesso periodo del 2019. Le imprese agricole femminili attive erano 2.860 e hanno registrato, rispetto allo stesso periodo del 2019, un calo medio di circa il 2,3%. Il totale delle imprese attive (femminili e non, agricole e non) in Romagna era di 104.459 (-0,8% in media rispetto al 2019). Le agricole attive (femminili e non) erano 15.440 (-1,8% in media rispetto al 2019). A livello regionale le agricole femminili attive hanno avuto un calo del -1,9% e a livello nazionale del -1,2%.

Provincia di Ravenna – Le imprese femminili rappresentano il 21,2% del totale delle imprese attive. Le agricole femminili incidono per il 14,2% sulle imprese femminili e per il 15,4% sul totale delle imprese. Erano 1.025 (-1,9% rispetto al 31.12.2019).

Provincia Forlì-Cesena – Le imprese femminili rappresentano il 20,7% del totale delle imprese attive. Le agricole femminili incidono per il 17,4% sulle imprese femminili e per il 20,6% sul totale delle imprese. Erano 1.305 (-2% rispetto al 31.12.2019).

Provincia di Rimini – Le imprese femminili rappresentano il 21,8% del totale delle imprese attive. Le agricole femminili incidono per il 7,1% sulle imprese femminili e per il 21,9% sul totale delle imprese. Erano 530 (-3,1% rispetto al 31.12.2019).

Caccia al cinghiale nell’oasi naturalistica di Torriana Montebello, la posizione di Cia Romagna

Intervento di Cia Romagna e Confagricoltura interprovinciale Forlì – Cesena, Rimini sulla questione della caccia al cinghiale nell’oasi naturalistica di Torriana Montebello (RN) e della protesta del comitato dei residenti.

C’è la necessità di una valutazione a 360° della questione comprendendo i danni che gli animali selvatici, in particolare i cinghiali, causano sia alla viabilità, che alle coltivazioni agricole di tutto il territorio della provincia riminese. Tutelare il territorio e i cittadini significa anche non dimenticarsi degli agricoltori che fanno della gestione del paesaggio e della manutenzione dei terreni la loro missione.

La decisione della Regione di non ripristinare i confini originari dell’oasi, per consentire la riduzione del numero dei selvatici, va nella direzione della tutela di tutti i cittadini senza discriminazioni. Sul piatto della bilancia è necessario mettere tutti i problemi, ci vogliono delle risposte concrete alle aziende agricole presenti sul territorio prima di criticare la scelta presa dalla Regione. L’aumento esponenziale negli ultimi anni di danni da selvatici ha bisogno di soluzioni tangibili.

Ricordiamo che l’oasi è un istituto faunistico previsto dalla legge dello Stato il cui unico obiettivo è salvaguardare le particolarità faunistiche, pertanto non è né un parco, né una riserva naturale, e le valutazioni generali sulla efficacia gestionale devono avere come elemento principale per l’appunto quello legato alla presenza della fauna.

Cia Romagna e Confagricoltura interprovinciale Forlì–Cesena, Rimini sono d’accordo con l’assessore regionale Alessio Mammi che si è detto molto preoccupato per l’aumento dei danni causati cinghiali alle aziende agricole e non solo ma anche sulla viabilità. Come è noto in Italia ci sono stati casi in cui i cinghiali si sono spinti fino all’autostrada causando incidenti anche mortali.

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